Origine della granita siciliana: il rinfrescante viaggio dalle neviere al bicchiere.

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È la regina indiscussa dell’estate, soprattutto in Sicilia.
Un rito mattutino che si gusta a colazione, spesso in compagnia di una soffice brioche. Di cosa stiamo parlando? Ovviamente della “granita ca brioscia”!

Il mese di agosto è arrivato portando con sé le bollenti temperature che ci fanno sognare un po’ di frescura. Quale miglior alleata se non la gustosissima granita siciliana? Questo dessert iconico e rinfrescante racchiude secoli di cultura e arte dolciaria. Ma come è nata questa delizia così tanto amata? Scopriamolo insieme.
 

La granita affonda le sue radici nell’epoca della dominazione araba in Sicilia, tra l’827 e il 1091. Durante questo periodo, gli Arabi portarono con sé lo sherbet” di origine persiana, un sorbetto a base di frutta, acqua di rose, zucchero, spezie e latte. Fu proprio grazie a loro che l’arte dello sherbet giunse nell’Isola del Sole. Qui per replicare questa meraviglia orientale, i nobili siciliani facevano affidamento sulla neve raccolta dai “nevaroli” durante l’inverno, proveniente dall’Etna e dai monti Peloritani, Iblei e Nebrodi. Questo prezioso manto bianco veniva poi conservato nelle “neviere”, apposite costruzioni in pietra che mantenevano il ghiaccio intatto per diversi mesi. Ancora oggi, su alcuni di questi monti, è possibile trovare le cavità scavate nel terreno utilizzate per la conservazione. Questi antichi metodi di stoccaggio, simili a ciò che noi oggi chiamiamo “snowfarming”, dimostrano l’ingegno e la capacità di adattamento delle popolazioni locali nel preservare risorse preziose in un’epoca priva di moderne tecnologie di refrigerazione. La neve veniva confezionata in balle di felci, paglia e fascine di legno prima di essere trasportata a valle in sacchi di juta. Questa tecnica permetteva di mantenerla intatta per lunghi periodi, garantendo così una riserva per i mesi più caldi. Con l’arrivo delle torride temperature estive, le ricche famiglie patrizie acquistavano la coltre bianca per custodirla in speciali “case neviere”. Durante le giornate assolate, il ghiaccio veniva grattato finemente e utilizzato per preparare deliziosi dessert. In Sicilia, questi dolci rinfrescanti erano spesso arricchiti con i prodotti locali come spremute di limone fresco, sciroppi di frutta, caffè, gelsi e mandorle.

Originariamente chiamata “rattata”, che significa “grattata”, questa preparazione era diffusa fino al primo Novecento e oggi vive ancora nella famosa “grattachecca” romana.

Nel XIV secolo la neve da ingrediente principale della ricetta si trasformò in prodotto refrigerante: fu in questo periodo che nacque il pozzetto, una tinozza di legno con all’interno un secchiello di zinco, manovrato con una manovella. L’intercapedine tra la tinozza e il secchiello veniva riempita con ghiaccio e sale marino. Questa combinazione congelava il contenuto del pozzetto per sottrazione di calore, mentre il movimento delle palette impediva la formazione di cristalli troppo grandi, garantendo una consistenza più fine e omogenea.

Con il passare dei secoli, questa innovazione portò alla nascita della vera e propria granita, che gradualmente sostituì la rattata. La neve venne sostituita dall’acqua e il pozzetto lasciò il posto alla gelatiera. Questa moderna tecnologia conferì alla granita una consistenza più cremosa e densa, così come la conosciamo.

Oggi, la granita siciliana rappresenta un simbolo culinario dell’isola, molto amato anche dai turisti: gustarla è come fare un tuffo nel passato, assaporando la storia e la cultura di questa meravigliosa terra.

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Buona estate e… viva la granita!

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